Il Sole 24 Ore – 10/09/2018
Cessione indiretta di singoli beni: la scissione dribbla l’abuso
Oltre che intere aziende lo schema può riguardare un immobile o un marchio L’operazione su singoli asset ha la stessa «filosofia» (e non beneficia della Pex)
La sequenza negoziale costituita da scissione societaria con successiva cessione delle partecipazioni della società beneficiaria della scissa) è oggi “affrancata” da minacce di elusività. Tuttavia, qualche dubbio sorge ancora quando la sequenza ha per oggetto singoli beni, quindi non compendi aziendali (si veda Il Sole 24 Ore del 26 agosto scorso).
A parte la “resistenza” di qualche ufficio periferico (e di qualche giudice tributario), dopo i pronunciamenti di prassi del biennio 2016/17, risulta oramai pacifico che prima di verificare se si è in presenza di abuso del diritto, occorre riscontrare se il vantaggio conseguito sia legittimo o meno. In pratica, il concetto di «operazioni prive di sostanza economica» deve necessariamente associarsi con quello del conseguimento di un «vantaggio fiscale indebito», cioè non voluto dall’ordinamento fiscale. Così, la prima indagine che l’interprete deve svolgere è se il vantaggio conseguito risulta legittimo oppure indebito. Si tratta, indirettamente, del riconoscimento del principio del legittimo risparmio d’imposta, in base al quale il contribuente può esercitare la propria liberta? di iniziativa economica scegliendo tra gli atti, i fatti e i contratti quelli meno onerosi sotto il profilo impositivo. In pratica, oggi l’ordinamento riconosce (finalmente) la liceità fiscale anche di quelle operazioni compiute essenzialmente per finalità fiscali, al fine di cogliere un vantaggio previsto dall’ordinamento, senza la necessità che le stesse operazioni siano giustificate da valide ragioni economiche (in termini fiscalmente più aggiornati: dalla «sostanza economica») proprio perché l’unica finalità delle stesse può anche risultare quella del conseguimento di un vantaggio fiscale legittimo. Così, nella risoluzione 97/E/2017 è stato riconosciuto che l’azienda può circolare indifferentemente attraverso una cessione diretta o una cessione indiretta (cioè tramite cessione delle partecipazioni della società che risulti titolare della medesima azienda); entrambe le soluzioni sono poste sullo stesso piano dal sistema e hanno quindi “pari dignità fiscale”. In quest’ottica la scissione societaria, che risulti “prodromica” alla successiva cessione in via indiretta dell’azienda attraverso il trasferimento delle partecipazioni, consente semplicemente al contribuente di accedere a una delle alternative che l’ordinamento gli mette a disposizione.
Si è dell’opinione – nonostante alcune perplessità adombrate dalla risoluzione 97/E – che il medesimo principio debba valere nell’ipotesi di scissione societaria che abbia per oggetto singoli beni (partecipazioni societarie, immobili, marchi) a cui segue il successivo trasferimento delle partecipazioni della società destinataria di tali singoli beni. Infatti, anche per quest’ultimi il sistema accorda la possibilità di trasferirli sia direttamente che indirettamente. Si supponga che una società possieda esclusivamente un unico bene, ad esempio un immobile. In tal caso, la scelta di vendere direttamente il bene oppure le partecipazioni della società – posti i differenti effetti sul piano giuridico delle due opzioni – è certamente legittima. Peraltro, va considerato che il trasferimento delle partecipazioni della beneficiaria destinataria dei singoli beni, ove manchi un’effettiva attività commerciale, non sarebbe “assistito” dai requisiti Pex, così da non risultare, in linea di massima, più “mite”, sotto il profilo dell’imposizione, rispetto al trasferimento diretto del bene. Ulteriormente, va considerato che per i soci persone fisiche il trasferimento delle partecipazioni della beneficiaria sarebbe (ora) soggetto ad imposta sostitutiva del 26%, e questo a prescindere che il patrimonio della società della quale si trasferiscono le partecipazioni sia composto da un unico bene o meno.
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Dario Deotto – Stefano Zanardi